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								Riccardo 
								Vannuccini | 
								
								 
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								TEATRO SOCIALE: 
								
								L'ESEMPIO CARCERE | 
							 
						 
					 
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					Fin dalla fine degli anni ’50 nell’ 
					ambito del Teatro cominciano varie esperienze a livello 
					europeo ed internazionale che caratterizzano ed individuano 
					come fenomeno interessante la pratica teatrale piuttosto che 
					lo spettacolo.  
					È a questo punto che con diverse forme espressive come 
					l’happening, la performance, lo stage, il laboratorio, il 
					Teatro esce dallo spazio propriamente teatrale, ed entra in 
					altri luoghi: i manicomi, le carceri, gli ospedali, le 
					strade e le piazze, la città in genere.
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					Foto> FRANCESCO GALLI | 
				 
				
					
					
					   
					
					   Dopo un cammino lungo ed 
					appassionante, anche in Italia, si riconosce oggi la pratica 
					teatrale anche come attività d’intervento interessante nell’ 
					ambito del sociale, riconoscendo tout court l’originalità e 
					la peculiarità del teatro inteso come diretta comunicazione, 
					distinguendolo una volta per tutte dal prodotto teatrale 
					commerciale finito, o dal mero riflesso di poetiche 
					corrispondenti, dalla scena interprete, dal teatro insomma 
					come fedele illustrazione delle idee scritte.
					
					   La mia 
					esperienza professionale nell’ ambito dell’ arte e dello 
					spettacolo è cominciata nel 1978 al Festival nazionale 
					dell’avanguardia a Formello, Roma, ed in seguito, dopo varie 
					e diverse esperienze ho lavorato con diversi Istituti 
					penitenziari fin dal 1994. 
					In particolare ho presentato laboratori, seminari, 
					realizzato spettacoli, mostre fotografiche e mostre d’arte 
					cominciando con il carcere romano del Rebibbia Femminile, 
					eppoi lavorando in altri istituti penitenziari fra cui 
					Regina Coeli, Civitavecchia N.C., e Rebibbia Reclusione, 
					cercando di mettere in relazione sociale stretta e profonda 
					il mondo del carcere con quello della cultura teatrale, 
					l’uno per “migliorare” l’altro e viceversa. 
					Gli spettacoli erano presentati sia all’interno che 
					all’esterno dei vari Istituti e i detenuti sono anche stati 
					spesso impegnati direttamente in servizi di vigilanza e 
					manutenzione in occasione di mostre d’arte o spettacoli di 
					teatro e musica, e/o come responsabili nella programmazione 
					di mostre fotografiche e comunicazioni didattiche. 
					
					 
					
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					Foto> FRANCESCO GALLI | 
				 
				
					
					
						
							
								Per un teatro educativo 
								e sociale: appunti per il progetto “Port Royal”
								 
								 
								Teatro come luogo delle tracce; una mappa di 
								persone e luoghi particolari che necessitano di 
								una rigenerazione della relazione. Ma il 
								concetto può - e deve - essere esteso alla 
								realtà della città nella sua totalità, dove il 
								territorio è stato de-privato di una precisa 
								identità urbana ed umana. 
								Da una parte la tradizione del teatro 
								rinascimentale occidentale dominante o teatro 
								della visione che privilegia la rappresentazione 
								intesa come oggetto autonomo distante dalla 
								vocazione di relazione profonda fra i 
								partecipanti, e che favorisce la dicotomia 
								insanabile fra scena e platea, fra tempo e 
								spazio di chi agisce e di chi assiste e che 
								nella ripetizione, nella riduzione 
								dell’esperienza a merce, sequestra e dissolve le 
								relazioni piene. 
								Dall’altra, il teatro inteso come esperienza di 
								gruppo che non necessita il mostrarsi, anzi, lo 
								spettacolo conclusivo laddove dovesse mutare la 
								natura esperenziale del lavoro di preparazione, 
								è assolutamente sconsigliabile. 
								 
								Nel teatro sociale si attivano meccanismi di 
								espressione, formazione ed interazione. 
								Nel primo caso l’azione teatrale dà voce e 
								strumenti adeguati a chi generalmente, a causa 
								di una situazione di deprivazione, non è in 
								grado di esprimersi in una condizione di 
								comunicativa; nel secondo caso diviene una 
								strada per la maturazione delle identità, 
								personale e collettiva; nel terzo caso suscita 
								nuove azioni che si dispiegano nella reciprocità 
								e nella condivisione dell’esperienza.  
								Gli strumenti sono le attività performative e lo 
								spettacolo non deve essere una finalità, come 
								nel teatro borghese e giudiziario, ma un 
								passaggio, l’educazione ha bisogno di un 
								territorio in cui si educa e non un’idea a cui 
								si educa. 
								
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					                                Foto> FRANCESCO GALLI | 
							 
							
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