<< indice

 

Diego Spreti

QUALE ENERGIA PER L'IMPRESA COMPETITIVA?

Una riflessione tra fisica, cinema e nuovo umanesimo

 

 

 

 

 

 

   Osserviamo un’impresa. Non attraverso i numeri ma nei suoi comportamenti pratici, cercando di intercettare le forze che agiscono al suo interno: come comunica, come reagisce ai cambiamenti, come si relaziona con il territorio, come tratta i clienti, i dipendenti, i fornitori. Un’impresa ha in effetti una propria energia, anzi due: una potenziale (quella disponibile) ed una cinetica, quella che fa accadere le cose. I risultati economici e finanziari iscritti a bilancio sono, a ben vedere, la misura esatta della qualità di questa energia. E se scende sotto certo livelli l’impresa collassa. Stiamo ovviamente parlando del lavoro delle persone, l’Horse Power diventato human power (Non si uccidono così anche i cavalli?). Era facile, un tempo, generare energia in un’impresa fatta di macchine e di operai, di buoni processi, di tempi e metodi, di obiettivi tipicamente manifatturieri e compiti chiari; un po’ di bastone e un po’ di sano paternalismo…e vai!. Quasi tutta l’energia potenziale con uno schiocco di frusta veniva liberata.

 

Karin Andersen
 

Oggi, oltrepassando i tempi moderni, diventa fuorviante dare per scontato che l’energia degli individui blue, white o senza collar – la “floridiana” classe creativa - possa essere sempre disponibile ai massimi livelli e che basti premere l’interruttore giusto: aumenti di stipendio, incentivi, ordini o minacce. È fallimentare di conseguenza la corsa alla modellizzazione, alla metafora vincente, alla leadership vincente. Mode? Esaltazione del luminoso modello meccanicistico di controllo venerato all’altare dalla razionalità apollinea? Mah? Se la potenza di un’impresa era la capacità della forza-lavoro di eseguire più compiti standardizzati nel minor tempo possibile ora, forse, la vera energia dell’impresa competitiva va ricercata, come suggerisce Spielberg in Star Wars, nel lato oscuro della forza: nelle emozioni, nel cuore, nella passione, nella creatività dionisiaca. E allora trasformiamoci per un attimo in antropologi e osserviamo il lavoro nelle organizzazioni dove questa energia, positiva e calda, è palpabile: le persone sorridono, si salutano, si scambiano idee e pacche sulla schiena; si muovono con decisione ed armonia; si prendono cura degli altri colleghi o clienti che siano; sembrano guidati felicemente da una mano invisibile.

 

Anche l’odore è buono. Proviamo allora a capire ciò che genera tale energia. Diciamo in prima battuta che questa dipende dalla motivazione, dei singoli, dei team, dell’insieme, che si traduce in atteggiamenti positivi, passione, impegno vero (non semplicemente esecuzione pedissequa dello spartito, pardon, mansionario), responsabilizzazione ed autodeterminazione. Ma quasi sempre si pensa che la motivazione sia acquistabile in farmacia o che dipenda semplicemente dalla volontà capricciosa del singolo. La motivazione è il risultato, innanzitutto, di un serio lavoro di pianificazione, diciamo umanistica, guidata dalla consapevolezza della centralità delle persone.

  

Karin Andersen
 

 

Ecco allora una visione chiara, valori forti e condivisi, identità e senso di appartenenza; ecco un’attenzione allo sviluppo delle competenze professionali e alla creazione di un ambiente stimolante, dove si possa crescere, sognare e sbagliare, permeabile agli stimoli esterni; ecco l’attenzione alle tre energie che determinano, opportunamente miscelate (“shaken not stirred”, direbbe Bond) il successo di ogni persona nel conseguire il proprio obiettivo: l’energia da battaglia, l’energia relazionale, l’energia di pensiero.
Che dire ancora? Quando l’anima diventa importante non c’è Harry Potter che tenga, ma servono attimi fuggenti, attenzione alle persone, valori e non regole ed ironia; all’interno dell' impresa e nella lettura del mercato, compiuta, giustappunto, per il tramite di identità individuali.

 

Referenze Bibliografiche

 

| PRIVACY POLICY | INFORMATIVA COOKIES  |