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Stati d’animo
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Che cos’è l’Europa? E cosa sono ancora, quale senso
hanno parole come patria o stato o nazione, dove
sono collocabili nel mondo queste entità, ed è
possibile stabilirne un inizio o una fine?
In questo
momento storico, in cui vari paesi europei sono
attraversati da tensioni centripete e centrifughe,
tentar di capire qual è la propria casa, la propria
patria, resta molto difficile.
Che cos'è allora
l'Europa, e chi sono gli Europei?
Lungi dal voler
dare una risposta, ma semplicemente cercando di fare
un’”istantanea” sentimentale della mente e del cuore
di alcune intelligenze e sensibilità avvertite,
abbiamo voluto annotare alcune testimonianze, e
raccoglierle in un volume che contestualmente
inaugura la nuova collana Adriadero,
destinata a raccogliere contributi meno vincolati
per scadenze o tematiche rispetto alla normale
programmazione di «Atlante di numeri e
lettere».
Prima di declinare alcune possibili
variazioni sul tema della comunità in
qualche modo costituita, sarà certamente
proficuo seguire Giancarlo Toniutti nella sua
ricognizione antropologica e concettuale: al termine
della quale, tuttavia, nella vastità del mosaico
culturale che si profila, è difficile voler
stabilire con rigore assoluto che cosa sia un inizio
o un limite, e dove un dentro e un fuori, e
finalmente essere sfiorati dall’idea che l’«identità
non esiste» (e a stento allora, il cuore trattiene
l’antico adagio che dichiara tutto il mondo essere
paese). Forse operando in modo meno razionale, è
possibile stabilire dei gradi nell’affetto, nelle
aderenze psicologiche o culturali dove si collochi
quella piuttosto che un’altra comunità.
Vediamo
allora innanzitutto attraverso le testimonianze di
una giovane artista rumena e una giovane
ricercatrice serba (entrambe da tempo residenti in
Italia centrale) che quanto ci ha plasmato,
costruito fin dalla più tenera età dall’esperienza
sedimentata nei ricordi, può avere esiti
assolutamente diversi, pur nell’analoga tipologia
dell’esperienza, nel caso dolorosa. La rivisitazione
dell’opera artistica compiuta da Gloria Gradassi
scivolando lungo la biografia di Marinela Asâvoaie
finisce per rivelare uno status acquisito, il
portato di una condizione, il disagio di una memoria
sgradevole, un incubo da cui non è possibile
liberarsi.
Seguendo invece le appassionate
considerazioni di Sijana Veledar
vediamo che quello stesso retaggio può essere il
ricordo indissolubile e fecondo della propria
patria, una dolcezza e un senso della vita che,
seppur confuso nella memoria ai bombardamenti e alle
traversie, viene rivissuto nella bellezza di tutto
ciò che nuovamente sarà trovato e rivissuto nel
proprio cammino esistenziale.
E resta la nostalgia di
una struttura, nella suggestiva ricostruzione di
Giorgio Cingolani, il quale ricorda le vicende di un
apparato finanziario e industriale, attivato dalla
passione di un manager, che diede il suo aiuto per
tentare di realizzare qualcosa di solido, di valido,
che potesse ancora supportare una comunità politica
fortemente indebolita eppure ancora dotata di valide
risorse.
M quella passione e
il notevole risultato prodotto furono lasciati
avvizzire, contestualmente a tutta la repubblica
federale. Forse il ricordo di quella passione è il
colore di una nazione.
Erik
Longo presenta la
nuova collana dell’editore LiberiLibri, "il Monitore
costituzionale", che ha intrapreso
la pubblicazione dei testi fondamentali del diritto
occidentale. Ci troviamo dunque al cospetto dello
Stato, della sua idea, quella in cui è venuto
incarnandosi, nel tempo e nello spazio. Entità non
assoluta, la cui critica o accettazione implicano,
comunque, una radicale ripresa dello studio e della
conoscenza di quella che resta finora la più
sperimentata comunità associata in cui finora il
consorzio umano abbia avuto modo di specchiarsi.
E
infine ecco il curatore di questa raccolta, apolide
adriatico, ammaliato più che interessato dalla casa
Europa, che per ritrovarsi con i propri pensieri e
poter riflettere sulle cose presenti sente quasi
l'esigenza, il bisogno forse, di allontanarsi nel
tempo e nello spazio, fantasticando di poter
scrutare con più agio e da lontana prospettiva non
solo il proprio continente, ma lo stesso
fondamentale “patrio” pianeta. Perché forse solo da
«da una giusta distanza» bisognerebbe guardare per
tentare di riuscire a capire le cose del mondo.
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ADRIAN
PACI Turn On,
2004 |
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