Volendo provare ad osservare la costituzione e la natura delle culture, forse anche delle società, delle etnie, dobbiamo imparare a riconoscerne l’esistenza, a partire dall’entità minima che è la persona. Noi siamo sufficientemente abituati a pensare la persona come dotata di una indissolubile unità psico-fisica, definita identità, a meno di gravi problematiche di natura neuro-psichiatrica. E siamo altrettanto bene abituati a figurarci le collettività, nel momento in cui le riconosciamo tali, come dotate allo stesso modo di omogenee unità socio-culturali, di identità fondamentalmente differenziate solo nei modi esteriori locali. Nei secoli scorsi, a partire anzitutto dall’epoca post-rinascimentale, si cominciò a dissertare di “spirito” o “sentimento” di una nazione, che si esplicava in tratti comuni provenienti da immaginazioni metafisiche e da trascendenze. Ideologicamente, già allora si contrapponeva un’identità internazionalista (a sua volta metafisica). Si trattava pur sempre di espressioni che tendevano a isolare, sui vari livelli di osservazione, dei modelli di riferimento per certi versi intesi anche in senso archetipico. Appare ben evidente invece come tutti questi modelli di identità siano ben lontani dall’essere congrui e coerenti su tutti i livelli. E come essi non riescano comunque ad essere unitari.
 

A seconda che la chiave di lettura si sposti e migri da concetti legati al carattere geopolitico, oppure di classe o censo, a nozioni di carattere impressionistico oppure legate a misurazioni antropometriche, o a nozioni più prettamente culturali (lingua, costumi, etc.), quello “spirito” comincia, in realtà, immediatamente a sfrangiarsi e parcellizzarsi in singole sottounità, se va bene, o ancor più in multiformità, varietà distinte di categorie di riferimento, cangianti a seconda dell’angolo visuale e della narrativa soggiacente, sovrapposte, parzialmente sovrapposte e sovrapponibili, parzialmente distinte e distinguibili, in un continuo incastro mobile di tasselli instabili e tuttavia più o meno storicamente fondanti. E ancor più muta a seconda che a trarre le conclusioni fondanti siano le culture egemoni, quelle che sembra scrivano la storia, o le culture egemonizzate, come nel caso interessante e paradigmatico della supposta estinzione degli aborigeni di Tasmania.

 

 

 

DANILO COGNIGNI, Berlin, 2008

 
 

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